A tu per tu con Giulio De Vita, maestro del fumetto italiano e direttore del PAFF di Pordenone. Un creativo per vocazione, convinto che la fantasia può migliorarci la vita

Nella sua carriera, iniziata a metà degli anni Novanta, ha disegnato personaggi come Lazarus Ledd, Tex Willer, i supereroi Marvel e saghe come quella di Kriss de Valnor. Conosciuto a livello internazionale, ha lavorato con i più importanti editori francesi. Appassionato di tutto ciò che è comunicazione visiva si è occupato anche di pubblicità, teatro e musica, collaborando per copertine e videoclip, tra gli altri, con gli 883, Vasco Rossi, Zucchero e Sting.

Dal 2018 dirige a Pordenone il PAFF, il Palazzo Arti Fumetto Friuli che ha contribuito a ideare e far nascere. A “Distanza minima” abbiamo incontrato il maestro pordenonese del fumetto Giulio De Vita.

Come si diventa fumettista?
Intanto fumettisti si nasce. Perché essere fumettista non vuol dire solamente essere un disegnatore, ma soprattutto essere un narratore, avere l'esigenza innata di raccontare delle storie attraverso la voce del disegno. Si può essere un bravo fumettista senza essere necessariamente un bravo disegnatore, però puoi essere anche un ottimo disegnatore senza essere un bravo fumettista, perché alla base di tutto c'è proprio l'esigenza di narrare. È una vocazione innata.

Ci sono delle scuole?
Ci sono tantissime scuole in giro per l'Italia, anche noi al PAFF facciamo dei corsi, che però servono più che altro per imparare a capire quali sono le tecniche per realizzare i fumetti. In Italia ci sono diverse scuole, soprattutto nelle grandi città. Sono strutture private che in genere offrono corsi post diploma che oltre alle basi del disegno, dall'anatomia alla prospettiva, insegnano tecniche più specifiche, da come si fa il lettering a come si fa la sceneggiatura, e anche come proporsi agli editori, perché una parte del mestiere è legata anche al sapersi “vendere”, sapersi promuovere per trovare nuovi lavori.

Che competenze deve avere un fumettista?
Dal punto di vista del disegno, bisogna saper disegnare un corpo umano e come collocarlo all'interno dello spazio, conoscendo le regole della prospettiva e la teoria delle ombre, per dare volume ai disegni. E poi ci sono altre competenze, indirette, le cosiddette soft skills. In un fumetto, per esempio, bisogna disegnare un sacco di cose. Se disegni una scrivania, devi disegnare anche tutto quello che ci sta sopra. Per non parlare di una scena ambientata in una strada. Raccogliere una documentazione fotografica di tutte le cose da riprodurre sarebbe impossibile e allora si impara a fotografare con la mente. Così immagazzini dentro il cervello la documentazione, che ti permette di lavorare più agevolmente. Questa, per me, è una delle soft skill più importanti per un fumettista.

Da ragazzo quali erano i fumetti che leggeva?
Io sono figlio di meridionali che si sono trasferiti a Pordenone. Mio zio veniva ogni tanto a trovarci d'estate e aveva l'abitudine di leggere un giornaletto che si chiama Lanciostory, che ancora oggi esce settimanalmente. E così fin da bambino ho avuto la fortuna i scoprire dei grandi nomi come Hugo Pratt, Domingo Mandrafina, Alberto Breccia, Juan Zanotto, Ernesto García Seijas. Ho letto l'Eternauta, che è un grande fumetto che adesso è anche tornato alla ribalta perché ha previsto un po' quello che sta succedendo oggi con la pandemia.

Quali sono gli autori che ritiene siano i suoi punti di riferimento?
Gli autori argenti che ho citato assieme a Hugo Pratt. Poi, lavorando in Francia, mi sono innamorato follemente di Moebius, lo psedudonimo di Jean Giraud, un grandissimo autore e fumettista francese, che, tra le altre cose ha creato il personaggio di “Blueberry”, il Tex francese, e che a un certo punto degli anni 70 ha abbandonato il disegno realistico per esplorare mondi fantastici, rivoluzionato il mondo della fantascienza. Tanto che, per esempio, è stato chiamato da Ridley Scott per realizzare alcune parti dei film “Alien” e “Blade Runner”. Inoltre ha esplorato altre discipline come l'animazione e la pubblicità. Per me è il numero uno in assoluto, insuperabile.

Cosa fa un comic book artist?
La giornata del comic book artist inizia prendendo in mano la sceneggiatura del fumetto che deve realizzare, un testo scritto simile al copione di un di un film, diviso in tavole con la descrizione di quello che deve accadere in ogni tavola. Ogni tavola di solito viene realizzata prima a matita e poi e ripassata in bella a china. Una volta ripassata la tavola, si cancella la matita con la gomma pane che non lascia trucioli, si fa la scansione e la si invia digitalmente per la pubblicazione o per le altre fasi di lavorazione come la colorazione, che ormai si fa quasi sempre al computer. I tempi di lavoro sono variabili. Nel caso di fumetti seriali che escono con cadenza fissa, come Tex, Diabolik, Topolino, i ritmi sono serrati e quindi di solito un disegnatore ci mette al massimo un giorno per fare una pagina. Mentre invece per il fumetto d'autore, come quello che faccio in Francia, dove i disegni sono molto più elaborati, sono più grandi, può capitare di impiegare anche settimane per fare una sola pagina.


Lemuri il visionario

Quanta libertà artistica c’è tra l’autore della storia e il disegnatore. Il fumettista può collaborare alla storia o modificarla?
È una situazione molto variabile. Ci sono dei disegnatori che preferiscono non partecipare alla storia, restare fuori dal contesto creativo e dedicarsi solamente al disegno. Per quanto mi riguarda, invece, sono un rompiscatole, perché siccome vivo proprio in empatia con i personaggi, a volte li difendo, divento il loro sindacalista rispetto ad alcune evoluzioni della sceneggiatura che non mi sembrano coerenti con la loro psicologia. Allora dialogo con lo sceneggiatore e gli chiedo di prendere in considerazione le loro motivazioni e questo, spesso, avviene. Ci sono invece degli sceneggiatori che non accettano interferenze e allora, per quanto mi riguarda, la relazione ha vita breve.

Che rapporto ha con le tecnologie digitali? Hanno cambiato il lavoro del fumettista?
Ho un ottimo rapporto con la tecnologia. Mi sono sempre interessato alle innovazioni e sono stato tra i primi anche a comprare le tavolette digitali per disegnare. Però mantenendo un rapporto equilibrato. Ho sempre considerato il computer uno strumento che ha la stessa valenza della matita o di un pennarello. In generale ho riscontrato che il computer non velocizza il lavoro. Una cosa interessante invece della tecnologia è che ti permette di tornare indietro, di fare le correzioni in caso di errori.

Come nascono le sue storie? Qual è la fonte di ispirazione?
Sono un fumettista che è abituato a lavorare con altri sceneggiatori che mi inviano delle proposte.Leggo le storie, le analizzo e vedo se mi stimolano, eventualmente chiedendo anche subito se c'è la possibilità di fare delle modifiche. Mi piace cambiare molto genere, passare da una storia poliziesca, a una fantasy a un western. È la varietà che mi solletica. In generale le mie fonti d'ispirazione sono le più varie: film, letture, saggi, anche videogiochi, serie TV, libri di fotografia, discussioni con gli amici, sogni.

A quale suo personaggio è più legato e perché?
Il personaggio al quale sono più legato, intimamente, perché rappresenta un po' tutti i fantasmi che ho dentro la testa, tutte le fantasie e i desideri che ho, è Lemuri il visionario. È un personaggio con cui dialogo da più di vent'anni che ho creato insieme a Vittorio Centrone che è un musicista bravissimo, un grande compositore, e impersona proprio il suo alter ego, l'alter ego di un musicista visionario che attraverso l'energia degli oggetti viaggia in mondi paralleli. Questo personaggio è diventato anche un po' me stesso, perché anch'io quando disegno comincio a viaggiare con la fantasia, a parlare con i personaggi che disegno.

Che personaggio le piacerebbe disegnare?
C'è una risposta scontata e una un po' più poetica. Quella scontata è Batman e non c'è bisogno di molte spiegazioni. Quella più poetica è Saturnino Farandola, una scoperta che ho fatto proprio nella mia ricerca diciamo di ispirazione per Lemuri. Giulio Verne aveva un illustratore dei suoi libri, Alberto Robida, che era anche uno scrittore e creò, appunto, il personaggio di Saturnino Farandola. Era presentato un po' come un Don Chisciotte un po' pazzo. Robida fu talmente inventivo che nei disegni che faceva ha anticipato alcune innovazioni tecniche come il videoproiettore. La cosa strana è che un mio quasi omonimo, il grandissimo autore Pier Lorenzo De Vita, negli anni Trenta ha realizzato il fumetto di questi romanzi e io ne sono rimasto affascinato e mi sono detto: se l'ha fatto Pier Lorenzo De Vita vorrei realizzare anch'io il mio Farandola

Ha mai dovuto affrontare blocchi narrativi? Se sì, come li ha superati?
Mi è capitato che nella realizzazione di un fumetto dovevo disegnare una scena di violenza su una donna. Non riuscivo a realizzarla, perché soffrivo per la ragazza. Invece di metterci un giorno per farla, ci ho messo più di un mese. Alla fine mi sono dovuto mordere la lingua, soffrire e disegnarla.

Per un disegnatore, l’Italia che Paese è? Dà opportunità o si trovano più occasioni all'estero?
Non tutti sanno che i fumetti di Topolino per una percentuale altissima sono realizzati tutti dagli italiani che producono fumetti per tutta Europa e per tutto il mondo e sono tra i più riconosciuti e più produttivi. L'editore Bonelli e è uno degli editori più importanti al mondo anche se i suoi personaggi non vengono venduti in tutto il mondo, quindi vuol dire che c'è un mercato molto fiorente in Italia. Detto questo, io invece, che sono un personaggio abbastanza particolare dal punto di vista del temperamento e delle ambizioni, ho trovato la mia realizzazione solo andando all'estero, trovando un ambiente in cui il fumettista viene considerato un vero autore. Dopodiché sono comunque tornato in Italia dove ho potuto lavorare benissimo.

Perché a suo parere il fumetto non è ancora riconosciuto/ percepito da tutti come forma d’arte?
Quasi tutti ormai lo riconoscono come una forma d'arte, sono pochissimi quelli che lo ritengono una forma d'arte minore o un linguaggio solo per bambini. Ci sono stati fumetti premiati con il premio Pulitzer o il premio Strega. Ci sono stati degli artisti che hanno preso i fumetti, li hanno trasformati in quadri e li hanno portati nei musei. Tutte queste cose hanno dimostrato nel tempo che il fumetto è una vera e propria forma d'arte e che alcuni fumettisti sono dei grandissimi artisti degni di stare nei migliori musei.

Perché secondo lei negli anni il fumetto non ha perso il suo fascino?
Perché è molto facile da realizzare. La matita è la bacchetta magica che permette di realizzare qualsiasi sogno. Con lo stesso strumento puoi realizzare dalla storia più semplice e minimalista alla storia più complessa in assoluto, con delle astronavi incredibili o delle cose impossibili da realizzare. Puoi raccontare qualsiasi cosa, affrontare anche il tema più scabroso con poesia ed eleganza, con solo una matita. Se invece vuoi farlo nel cinema hai bisogno di budget enormi, per questa ragione le idee nel fumetto circolano in maniera molto più veloce e più facile, sono realizzabili in maniera semplice, solo con un fumettista seduto nella sua scrivania.

Lei ha collaborato spesso anche con il mondo della musica. Come è nata la copertina dell'album degli 883 “La donna il sogno & il grande incubo” del 1995?
Ero molto giovane e stavo lavorando per Lazarus Ledd, un fumetto poliziesco creato da Ade Capone, una grande amico che mi ha dato grandi opportunità e che purtroppo e mancato qualche anno fa. Gli 883 erano diventati famosi con “Hanno ucciso l'uomo ragno” e cercavano un disegnatore che potesse realizzare una copertina simile a Dylan Dog. Chiesero ad Ade Capone e scelsero proprio me che tra i vari disegnatori ero il più giovane. Mi chiamarono a Milano dove conobbi Max Pezzali e Claudio Cecchetto che era il suo produttore. Andai anche a Radio Deejay dove c'erano Amadeus e Fiorello. Mi chiesero di fare queste copertina e andò tutto liscio.

Come è nato il PAFF, il Palazzo Arti e Fumetto Friuli Pordenone, di cui è direttore?
A Pordenone esiste da diversi anni una realtà fiorente di fumettisti, ci sono un sacco di autori, studiosi che se ne occupano e un certo seguito di pubblico. In una città molto viva dal punto di vista culturale e con diversi importanti festival, a partire dalle Giornate del cinema muto e da Pordenone Legge. Mancava qualcosa che rappresentasse il mondo del fumetto e così ho fondato un'associazione culturale che si mettesse a disposizione dei giovani autori. Poi, quando c'era il rischio che lo spazio di Villa Galvani chiudesse, anche per riqualificare quest'area della città che ospita un bellissimo parco, ho tirato fuori il progetto del PAFF. Ho trovato nelle istituzioni delle persone molto ricettive che hanno ascoltato questa proposta, l'hanno vista come innovativa e l'hanno appoggiata. Così ho chiamato a raccolta una serie di amici e professionisti che hanno creduto in questo progetto e adesso siamo qui a realizzarlo e siamo solo all'inizio.

Possiamo dire che il PAFF è uno spazio culturale in cui, partendo dal fumetto, ci si apre ad altri linguaggi e altri argomenti?
Certo. Il PAFF è una piattaforma di incrocio multidisciplinare. Proprio le caratteristiche del fumetto come linguaggio ci consentono di collegarci facilmente ad altre discipline, per parlare di architettura, jazz, arte, cinema con proposte di livello internazionale.

Che impatto ha avuto l'emergenza coronavirus sull'attività del PAFF?
L'impatto è stato molto pesante. Perché chiaramente la cultura si vive solo con la condivisione di momenti, con lo scambio di idee e di persone, con il contatto anche fisico e quindi non poter aprire al pubblico le mostre si può immaginare che cosa significhi. Però con un po' di creatività abbiamo cercato di trasformare le difficoltà in opportunità. Per esempio abbiamo aperto delle mostre virtuali su internet, che è un modo per far conoscere il PAFF anche a gente che è lontanissima che non sarebbe mai venuta fisicamente a trovarci.

Che progetti ha il PAFF per il futuro?
Ne abbiamo diversi. Abbiamo ospitato una grande mostra su Milton Caniff, che era un grande autore del secolo scorso, che ha inaugurato un filone di eventi che vogliamo fare sui maestri del passato esperti del bianco e nero, “Masters of black and white”. Proseguiremo sicuramente con Alex Raymond, il papà di Flash Gordon, e Winsor McCay, il creatore di Little Nemo, per portare a Pordenone veramente il Gotha della storia del fumetto.

E lei invece a cosa sta lavorando?
Sono bloccato in un lockdown creativo a causa del fatto che, facendo il direttore del PAFF, non ho più tempo per disegnare. Diciamo che c'è questo Lemuri che continua a volare intorno a casa mia, aspettando di essere disegnato da me.

Per saperne di più: www.paff.it