Intervista a MICHELE PITTACOLO

Foto tratta dal sito www.teamisonzo.org

Chiunque abbia praticato qualche sport, sa bene che i risultati, come anche ogni piccolo miglioramento, hanno un costo enorme. Provare ad essere almeno per una volta un vincente è una sorta di follia.
Quando qualcuno, dopo aver vinto, decide che vuole spingersi oltre e accetta di ricominciare da zero, stagione dopo stagione, quel qualcuno è destinato a staccarsi dalla massa e diventa un campione.
Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere uno di questi moderni eroi, una persona che dimostra al meglio quanto dietro alle coppe e alle medaglie si celi spesso una qualità che va oltre la capacità di mettere su massa muscolare.
Tutto il coraggio, l'intelligenza ed il cuore di un campione vero, raccontati da Michele Pittacolo, fuoriclasse del ciclismo paraolimpico.

Michele Pittacolo, un friulano che gira il mondo in sella ad una bicicletta … e vince.
Ho ottenuto tante vittorie in carriera e anche questa stagione sta andando bene ma l'emozione sportiva più grande è senza dubbio la medaglia paraolimpica. È il massimo per un atleta, bisogna provare per capire. A Rio 2016 voglio conquistarne un'altra e questo sarà il mio obbiettivo principale.

Avete un calendario denso. Si ripete tutti gli anni?
Sì, noi di solito facciamo i campionati del mondo, il prossimo anno ci saranno le olimpiadi.
Durante la stagione ci sono due, tre prove di coppa del mondo che valgono per classificarsi alle olimpiadi e poi varie prove di Coppa Europa.

Tanto impegno e fatica, quindi, per questi grandi risultati ma…
È ancora difficile aprire la mente alle persone e voi lo sapete meglio di me, ma qualcosa sta arrivando: i mass media cominciano a pubblicare qualcosa di più, la strada sembra lenta ma in confronto al 2009 in cui sono entrato nel paraolimpico qualcosa si è mosso.
Anche la gente, il pubblico, incomincia a capire meglio e amici e simpatizzanti mi seguono. Per capire lo sport paraolimpico bisogna vederlo.

Lo sport per disabili non riceve ancora le dovute attenzioni?
Purtroppo è così eppure, qui si respira la competizione pura mantenendo i veri valori della vita. C'è la gara, certo, ma prima e dopo ci abbracciamo.
Recentemente sono andato a fare una gara di mountain bike per normodotati, a Ravenna, al Lido di Adriano, per fare allenamento, 105 km in mountain bike. Sono arrivato 6° assoluto ed ero il più felice ma ho visto cose terribili: a fine gara tutti questi normodotati erano arrabbiati e polemizzavano per ogni cosa. Con mia moglie ho considerato che fino a qualche anno fa ero anch'io così, m'incavolavo per niente. Non sono più andato a fare quelle gare, anche se mi servirebbero per allenamento, perché lì non c'è cultura di vita, di niente.

È strano ma sembri quasi felice di essere entrato a far parte di questo mondo.
È stato duro riaffrontare la vita dopo l'incidente perché non mi sentivo più una persona normale, mi accorgevo che non potevo più fare le cose che facevo prima, facevo fatica ad uscire di casa anche per la ferita evidente. Poi mi ha chiamato Marinella Brosio, la presidente regionale del comitato paraolimpico, e mi ha convinto a fare la visita di classificazione.
Da lì la mia vita è cambiata in positivo, mi ha fatto diventare un uomo e mi ha dato soddisfazioni immense. Adesso che stanno arrivando riconoscimenti, ancora non mi sembra vero, penso di sognare. Mi ha dato la possibilità di maturare, di parlare con persone diverse, anche di avere più controllo e consapevolezza.
Prima non ne sapevo quasi nulla sulla disabilità, non se ne parlava molto ed io non me ne interessavo. Ora sono felice che anche grazie a me, così come ad Alex Zanardi (ndr. ex pilota di auto, ora campionissimo della handbike dopo l'amputazione di entrambe le gambe a causa di un incidente in pista), la gente sappia che ci sono disabili che fanno sport e se ne appassioni.

Però, potendo tornare indietro… se quell'incidente non fosse mai successo?
No, non tornerei mai indietro e non mi cambierei con nessuno. Non ci sono aggettivi per definire come si è modificata la mia esistenza dopo l'incidente. Mi ha cambiato la vita e sono felice.
E poi i successi nelle gare paraolimpiche danno soddisfazioni più grandi, perché prima devi vincere te stesso.

Quel terribile istante che con dolore ti ha fatto diventare un uomo nuovo, te lo ricordi?
No, non ricordo niente, me l'hanno raccontato. Era il 12 settembre 2007. All'epoca facevo poca attività sportiva, più che altro mountain bike, perché ero impegnato con il lavoro. A Medea, vicino a Villesse, sono stato investito da una macchina.
Il trauma più grave è stato lo sfondamento della parte destra del cranio da cui è uscito molto sangue e, fortunatamente, all'interno si è formato solo un leggero ematoma.
Tre mesi della mia vita sono cancellati.
Sono stato 7 giorni in coma pilotato poi mi hanno operato e lasciato per quattro mesi senza osso, fino a gennaio 2008 quando mi hanno fatto la ricostruzione ossea in resina. Ho fatto varie operazioni anche al braccio.
L'incidente mi ha lasciato un po' di problemi: il linguaggio, la memoria a breve termine, l'occhio sinistro, l'equilibrio, ma mi ritengo fortunato perché ci sono tanti ragazzi che hanno conseguenze più gravi delle mie.

Michele Pittacolo a Casa UILDM

Il casco non ti ha protetto?
Non lo portavo! È stato un grosso errore ed ora combatto affinché venga usato, soprattutto dai bambini. Io non faccio più nemmeno 100 metri senza.
Il mio CT dice che "la disabilità ti accorgi di averla quando ce l'hai". Solo quando ti capita ti accorgi di cosa voglia dire, purtroppo.

Uno come te, con una storia ed un carattere così, ne avrebbe da raccontare e da insegnare di cose.
Sì mi piacerebbe molto. L'anno scorso ho fatto i corsi di allenatore per ragazzi normodotati ma non è quello che voglio fare, per via dei genitori, che spesso sono il male dello sport giovanile.
Però sto raccogliendo ricordi ed articoli, dai miei esordi a 13 anni sulle orme dello zio ciclista, fino ai successi di oggi. Forse scriverò un libro.
Intanto partecipo ad incontri e convegni, parlo con le persone, con i giovani nelle scuole.
Mi dicono che ci so fare e a me fa piacere essere di aiuto. Cerco sempre di farlo quando ne ho tempo.

Ritornando alla bicicletta, che tipo di ciclista sei?
Più che altro sono un velocista. Ho qualche difficoltà sulle salite perché peso 81 kg e contro quelli di 60 kg faccio molta fatica.
Però in volata non ce n'è per nessuno! Sono un perfezionista anche perché se vuoi restare a certi livelli non puoi sgarrare. Dall'alimentazione, alla posizione in bici, curo tutto nel dettaglio.
Un mio pregio è di non soffermarmi troppo sui risultati, positivi o negativi che siano e di guardare subito al futuro. L'ansia durante le gare è invece qualcosa che non gioca a mio favore.

La bicicletta per te sembra essere una compagna indispensabile, come spesso la carrozzina lo è per noi disabili. É cosi?
É così perché la bici mi dà la possibilità di uscire di casa. Io sono molto più avvantaggiato di voi perché il mio incidente mi ha lasciato
poche conseguenze ma se non vado
in bici sto male, è una valvola di sfogo.

Tra gare, allenamenti ed incontri sicuramente avrai poco tempo per tua moglie. Non è gelosa?
No, è stata proprio lei, assieme al resto della mia famiglia, a spingermi affinché ritornassi in sella. A casa serve appoggio altrimenti la testa non lavora bene e in uno sport come il ciclismo, fatto di fatica, questo è determinante.
Un atleta raramente ha molti veri amici, non è facile starci accanto. Siamo sempre in cerca delle sensazioni giuste, in balia degli umori.
A volte mia moglie si arrabbia, oggi ad esempio è il suo compleanno e io sono qui con voi. Però viaggia spesso con me, visitiamo luoghi lontani, questo è il lato positivo, aiuta.

Per te stesso resta un po' di tempo?
In questo momento di piena attività no. Ho l'hobby del restauro di mobili ma ho difficoltà ad usare le mani.
Il tempo che mi resta mi piace spenderlo per gli altri.

A sentirti, il mondo del paraciclismo sembra idilliaco. Ma la piaga del doping c'è anche qui?
Io ho la coscienza pulita ma esiste eccome questo problema ed è assurdo. Noi siamo dei miracolati, io sono nato due volte e non intendo certo farmi del male da solo.
Purtroppo questa cosa sta prendendo piede anche da noi e questo è il rischio che si corre quando iniziano a girare soldi, io credo.

In conclusione, hai un ricordo divertente per i tuoi tifosi?
Sul momento non fu affatto divertente: rischiai di non poter correre alle Olimpiadi perché ai controlli la mia bicicletta risultò sottopeso. Fortunatamente ai tecnici venne l'idea di smontare la sella ed inserire nel telaio ogni cosa possibile, da viti e bulloni, a cacciaviti e quant'altro!

www.michelepittacolo.it

Chi è Michele Pittacolo

Michele Pittacolo è nato a Udine il 5 settembre 1970. Inizia l'attività ciclistica nel 1983 con il Velo Club Latisana, conquistando diverse vittorie nella categoria dilettanti. Nel 1996 inforca la mountainbike collezionando oltre 300 vittorie.
Il 12 settembre 2007, mentre si allena, è vittima di un gravissimo incidente che gli lascia una serie di lesioni permanenti. Nel 2009 diventa atleta paralimpico, conquista due titoli nazionali su pista e due titoli mondiali: cronometro e strada. È l'inizio di una lunga serie di vittorie tricolori (il sesto titolo nazionale consecutivo su strada è arrivato pochi giorni dopo questa intervista) e iridate che culmineranno con il primo posto nel ranking mondiale, raggiunto nel 2011, e con la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra del 2012. È campione del mondo su strada in carica.

Per saperne di più e seguire i successi di Pittacolo: www.michelepittacolo.it