La Cina è un paese - continente decisivo per il nostro futuro. Giada Messetti, autrice di libri, podcast e programmi tv, ci aiuta a cercare di conoscerlo e capirlo al di là dei pregiudizi e degli stereotipi
Giada Messetti
È nata a Gemona nel 1981 e, dopo la laurea in Lingue e civiltà orientali all'Università di Ca' Foscari di Venezia, nel 2005, si è trasferita a Pechino, dove ha vissuto per sei anni, iniziando a raccontare la Cina per diverse testate giornalistiche e media italiani. Autrice di podcast, programmi televisivi e radiofonici, ha lavorato, tra gli altri, per Rai, Mediaset e La7. È un punto di riferimento nel mondo dell'informazione per chi vuole sapere qualcosa di più sul gigante dell'estremo oriente, che visita spesso, e unisce alla competenza giornalistica le qualità della divulgatrice. Ha un'intensa attività come mediatrice e opinionista in radio, televisione, convegni e festival. Nelle librerie è da poco uscito per Mondadori il suo ultimo libro “La Cina è un'aragosta”, dedicato alle profonde trasformazioni in atto in quel paese e ideale conclusione della trilogia iniziata con i saggi “Nella testa del dragone”, del 2020, e “La Cina è già qui” del 2022. La redazione di WheelDM ha incontrato a “Distanza minima” Giada Messetti.
Come e quando nasce il suo grande interesse per la Cina?
Un po' per caso. Ho fatto il liceo classico “Stellini”. Una volta finito non sapevo cosa studiare dopo. Di solito chi fa il classico fa medicina, lettere o giurisprudenza. Per giurisprudenza non avevo il carattere e medicina l'ho scartata. Restava lettere. Mi sono detta, visto che “Venezia è vicina, invece di fare lettere, perché non provo a fare lingue orientali?". Sono andata alla lezione di introduzione del cinese e alla lezione sui caratteri cinesi sono rimasta affascinata. E da lì è iniziato tutto.
Lei ha dedicato la tesi di laurea a Padre Basilio Brollo, gemonese che alla fine del Seicento visse per vent’anni in Cina. Cosa l’ha colpita di questo personaggio?
All'origine c'è una vicenda familiare. Mia mamma si chiama Brollo e mia zia mi raccontava sempre di questo antenato che aveva scritto il primo dizionario cinese latino della storia. E quindi, quando ho dovuto decidere su che cosa fare la tesi, mi è sembrato naturale farla su di lui. Ho fatto tutto un lavoro di ricerca sulle lettere che mandava, sia durante il viaggio per arrivare in Cina, che è durato quattro anni, sia quando si trovava in Cina. È una figura molto interessante, perché voleva proprio creare ponti con i cinesi, anche in termini di comunicazione. Una parte della tesi è dedicata a una diatriba che c'era in Vaticano su come tradurre la formula battesimale in cinese. È un personaggio molto affascinante e, secondo me, anche molto avanti rispetto all'epoca in cui è vissuto.
Il suo ultimo libro si intitola “La Cina è un’aragosta”. Che cosa significa?
L'aragosta è un animale che quando cresce deve abbandonare il guscio, perché a un certo punto le sta stretto. Quindi per un periodo resta “nuda”, vulnerabile, in attesa che cresca un nuovo guscio più adatto alla sua nuova dimensione. Secondo me in questo momento la società cinese è attraversata da fenomeni di grande cambiamento, perciò mi è sembrato un titolo adatto a un libro che vuole raccontare questa fase di muta sia della società sia della postura internazionale della Cina, che si è vista molto bene da quando è iniziata la guerra dei dazi con gli Stati Uniti.
Quali sono i cambiamenti più significativi che ha visto dalla prima volta che è arrivata fin ad oggi?
Sono andata in Cina la prima volta nel 2002 e Pechino era la capitale di un paese in via di sviluppo. C'erano ancora le strade non asfaltate e dormivo in un ostello. Era una città da 9 milioni di abitanti, fatta ad anelli concentrici e l'anello più grande era il quarto. Adesso siamo arrivati al nono anello e ci sono 21 milioni di persone. Quando sono andata via nel 2011 c’erano cinque linee della metropolitana. Quando sono tornata due anni fa ce n’erano 31. Pechino, rispetto alle nostre, è una città del futuro. In Cina ormai tutto si gestisce a livello digitale, si fa tutto con lo smartphone e il riconoscimento facciale. Il traffico non fa rumore perché ormai tutte le auto sono elettriche. Rispetto a quella in cui ho vissuto io è ormai completamente un'altra città.
Lei sostiene che di “Cine” ce ne sono tante, come convivono?
Esistono centinaia di Cine diverse. Innanzitutto perché la Cina è un continente, è gigantesca. Da nord a sud ha cambiamenti climatici grandissimi: a nord c'è quasi un clima siberiano, a sud è tropicale. A tutti i livelli c'è una varietà pazzesca tenuta insieme da un'identità molto forte che deriva da alcuni elementi come la scrittura. I caratteri cinesi esistono da 3.000 anni e questo, per esempio, ha permesso di tenere unito l'impero cinese per millenni, perché le comunicazioni avvenivano per iscritto.
Cina e democrazia, diritti civili. Ci sono stati passi avanti? C’è una richiesta di una maggiore libertà?
No, perché in Cina la libertà non è il valore principale. Per i cinesi esistono altre priorità che sono la sicurezza, la stabilità, il benessere economico. Il patto non scritto tra governo e cittadini si basa proprio su questo: negli ultimi trent'anni il partito ha promesso benessere in cambio della rinuncia ad alcune libertà personali e questa cosa dai cinesi, che sono più pragmatici che ideologici, è stata accettata.
Esiste in Cina il concetto di welfare?
Esiste, però in questo momento è un problema. Deng Xiaoping ha fatto una serie di riforme e ha aperto la Cina alle privatizzazioni in tutti i settori, compresa la sanità. Questo ha avuto la conseguenza che a un certo punto i cinesi si sono ritrovati completamente senza welfare. Col tempo si è trovata una formula metà statale, metà privata. Ora però c'è un grosso fenomeno di invecchiamento della popolazione. Nel settembre del 2024 c'è stato il primo allungamento dell'età pensionabile. Prima le donne andavano in pensione a 50-55 anni e gli uomini a 60. Adesso gli uomini a 63 e le donne a 58.
La Cina punta con decisione sulla transizione green, mentre in occidente freniamo e questo cambiamento a molti fa paura. Come si spiega?
È una delle tante contraddizioni cinesi. La Cina è il più grande inquinatore del mondo però allo stesso tempo è il più grande produttore di energia eolica e solare al mondo. Perché questo ci fa paura? Perché sulla transizione energetica i cinesi sono stati più bravi di noi. Già all'inizio degli anni 2000 hanno capito che non aveva senso per loro investire sui motori a benzina e diesel, perché comunque le aziende occidentali erano troppo avanti.
In che modo?
Attorno al 2010 i cinesi hanno preso consapevolezza che l'inquinamento era un problema di salute. C'erano anche manifestazioni, che il governo ha lasciato fare perché i cittadini manifestavano contro le aziende che inquinavano piuttosto che contro il Partito Comunista Cinese, che ha visto in questa situazione la possibilità di avere un doppio vantaggio: assecondare una richiesta della popolazione e cogliere un'occasione di business che li ha portati a diventare leader nel mondo su tutte le tecnologie necessarie alla transizione energetica.
Giada Messetti durante l’intervista
È vero che molti cinesi hanno difficoltà nell’integrarsi nella nostra società?
È vero, perché c'è la barriera della lingua che rimane sempre uno scoglio molto complicato da superare. Però, come qui succede che le comunità cinesi stiano un po' sempre chiuse tra di loro, la stessa cosa succede in Cina con gli occidentali. Le comunità degli stranieri magari si mescolano tra loro, cioè gli italiani si mescolano con gli inglesi, con gli americani, coi francesi, però esistono due città. Esiste la città degli “expat”, che sono gli stranieri che vengono da fuori, e la città dei cinesi. E spesso queste due città non si parlano proprio.
Qual è l'errore più comune che da occidentali facciamo quando ci relazioniamo con i cinesi?
Nei confronti della Cina facciamo un grandissimo errore: pensiamo di sapere delle cose sulla Cina e facciamo fatica a sganciarci dalle idee che abbiamo. Però in realtà noi della Cina sappiamo veramente pochissimo. Penso che sia una cosa che va a nostro svantaggio, perché sono profondamente convinta che ormai quello che decide Xi Jinping e quello che decide il presidente degli Stati Uniti d'America, se non sono pari, poco ci manca, a livello di conseguenze sulla vita di tutto il resto del mondo. Perché la Cina è la seconda potenza mondiale, ha un peso fortissimo. Purtroppo la Cina è complessa, è faticosa e ti mette davanti a un mondo che è molto diverso dal nostro, quindi bisogna avere un po' di umiltà. Il che poi non significa essere d'accordo con quello che pensano e dicono i cinesi, ma significa capire qual è il punto di vista cinese sulle cose per mettersi veramente in ascolto dell'altro. Ed è una cosa che l'occidente fa fatica a fare, soprattutto nel momento in cui l'occidente per i cinesi non è più un'aspirazione, cosa che ormai è reale da almeno dieci anni. Nei miei libri cerco sempre di smontare un po' i luoghi comuni e trasformare i punti esclamativi che ci sono nelle nostre teste in punti di domanda, perché io, che frequento la Cina da 23 anni e parlo cinese, sono ancora piena di domande e di cose che non ho capito.
Quanto pesa nella difficoltà di capire la Cina e il fatto che ha una lingua così diversa dalla nostra?
Secondo me tanto, perché dà molta sensazione di distanza. Sono felice di averla studiata perché la lingua è la prima cosa da cui capisci quanto siamo diversi. La lingua cinese ha dei meccanismi, delle strutture, completamente diverse dalle lingue occidentali e quindi ti fa capire che anche il modo di pensare è diverso dal nostro. Noi spesso leggiamo la Cina usando le nostre lenti, ma abbiamo dei sistemi di ragionamento che sono completamente diversi.
Il sistema scolastico cinese è molto diverso dal nostro?
Il sistema scolastico in Cina è molto competitivo. Già dalla scelta dell'asilo uno traccia la strada della sua carriera. I genitori cinesi non sono come i nostri genitori. Il professore rimane un'autorità assoluta, c'è molto rispetto ancora nei confronti del maestro, dell'insegnante. Però questa competizione altissima inizia a essere un problema dal punto di vista psicologico. Alla fine delle superiori per entrare all'università c'è un esame, il gaokao. Attorno alla data in cui si svolge c'è un aumento dei suicidi giovanili. Inizia a esserci una consapevolezza che c'è un carico competitivo, ora bisogna capire che tipo di politiche inizieranno a implementare per risolvere questo problema.
Oltre al suo, c’è un libro o un film che ci consiglia per capire almeno un po’ la Cina?
Se vi piacciono i fumetti io vi consiglio la trilogia “Una vita cinese” che ha fatto Li Kunwu, un artista cinese bravissimo e mio amico. Per quanto riguarda i film, a parte la filmografia di Zhang Yimou, adesso esce al cinema un film interessante, tra l'altro distribuito dalla Tacker Film di Udine: “Generazione romantica”. Su Netflix invece c'è un documentario, “American Factory” che parla della diversa concezione del sacrificio e del lavoro tra cinesi e americani. I cinesi hanno spesso delle priorità diverse dalle nostre e in questo film, prodotto dagli Obama, si vede molto bene. Lo trovo molto interessante proprio per vedere la diversa mentalità.
Inquadra con il telefonino e guarda il video dell’intervista a Giada Messetti
Che differenza c’è tra scrivere articoli o libri e ideare e condurre un programma televisivo? Cosa preferisce?
Lo so che sembra assurdo, ma quando scrivo soffro. Sto malissimo perché poi non mi piace mai cosa scrivo e quindi tutte le volte è una lotta devastante contro me stessa. Preferisco, quindi, la televisione. La televisione ha tempi più stretti, e poi c'è anche la parte visiva che a me piace tanto. Ad esempio, quando ho fatto “CinAmerica” per la Rai, mi piaceva l'idea di metterci delle clip, di condire il parlato con delle cose che fossero anche pop, leggere. Anche nei miei saggi, cerco sempre di non essere pesante, di fare testi divulgativi in cui magari spiego cose complicate con esempi semplici. Per esempio nel secondo libro “La Cina è già qui”, io spiego il confucianesimo attraverso il cartone “Mulan” della Disney. In questo momento mi piace anche fare radio. Da gennaio ho una collaborazione con Radio 24 e ogni giovedì alle 9:30 faccio una rubrica di 10 minuti all'interno del programma “Uno, nessuno 100 Milan”, condotto da Alessandro Milan e Leonardo Manera. In quei dieci minuti lì mi diverto tantissimo ed è un modo anche quello di dare informazioni, di tenere un faro acceso sulla Cina.
Lei ci fa scoprire la Cina al di fuori degli stereotipi e, un po’ come fece Padre Brollo, cerca di avvicinare due mondi fra loro molto distanti. Come si trova in questo ruolo?
Dipende dai periodi. Ci sono dei periodi che sono molto difficili; c’è il momento in cui la Cina sembra il paese migliore del mondo, dove si vanno a fare gli affari e tutto va bene. Poi invece c'è il periodo in cui la Cina è il male assoluto, l'inferno dei diritti umani, è tutto bruttissimo, imbroglia, ci frega e lì devi stare. È complicato. Dico sempre che quando mi insultano sia da una parte che dall'altra vuol dire che ho fatto bene il mio lavoro perché cerco di mantenere un equilibrio. Non mi piacciono le persone schierate, anche quelle che fanno giornalismo in questo modo. Ci sono giorni in cui mi becco insulti che non sono piacevoli, e giorni in cui invece ci sono le persone che mi dicono: "Mi ha fatto incuriosire e dopo aver letto i suoi libri ho voglia di andare in Cina”. Che è una cosa che a me fa sempre molto piacere.
In che direzione pensa che andrà il rapporto tra Cina ed Europa nei prossimi anni?
Spero che l'Europa inizi ad avere un'autonomia strategica rispetto a tutte le grandi potenze. Non ho idea di cosa può succedere, però è iniziata una vera guerra tra le due grandi potenze che non è militare ma commerciale. Noi dobbiamo cercare di non farci schiacciare, dobbiamo essere bravi a gestire il rapporto con entrambi, tenendo presente che bisogna diversificare. Però diversificare pensando di non prendere in considerazione la Cina è un po' miope perché anche la Cina ha questa forza di essere un mercato gigantesco, con una classe media da 500 milioni di persone, e di essere ancora per tantissime filiere il centro del mondo.
Cosa c'è nel futuro di Giada Messetti?
Non ne ho la più pallida idea. Mi piacerebbe molto prima o poi riuscire a dedicarmi full time a questo mio tentativo di lavoro, di divulgazione, di fare un po' da ponte tra questi due paesi. Per il momento comunque va bene così. Il libro che è uscito da poco sta andando molto bene. Mi piacerebbe avere uno spazio in TV per fare una rubrica sulla Cina. Vedremo.