A tu per tu con Chiara Fiorino, la giovane friulana funzionaria dell'Agenzia dell'ONU per il cambiamento climatico che pensa oggi al nostro domani


Chiara Fiorino a Dubai

Appassionata delle tematiche ambientali, dopo aver completato il corso di studi in Scienze internazionali e diplomatiche all'Università di Trieste, si è spostata in Olanda dove ha conseguito la laurea ma- gistrale in studi sul cambiamento climatico e svilup- po sostenibile.

 Subito dopo è entrata a far parte dello staff dell'Agenzia della Nazioni Unite per il cambiamento climatico, prima come stagista e consulente e poi, da quest'anno, come funzionaria a tutti gli effetti.

All'ultima COP, la grande conferenza internazionale sul clima di Dubai dello scorso dicembre, ha seguito i lavori del tavolo che ha raggiunto lo storico accordo per istituire un fondo di sostegno ai paesi poveri colpiti dal cambiamento climatico.

 A gennaio, anche per questo, ha ricevuto il sigillo del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. La redazione di WheelDM ha incontrato a “Distanza minima” Chiara Fiorino.

Come si diventa funzionari di un agenzia ONU a neanche 30 anni?
Sicuramente con tanti sacrifici e impegnandosi tanto. Dopo di che proprio per la mia passione per i temi ambientali, e nello specifico quello del cambiamento climatico, avevo un obiettivo ben preciso da voler raggiungere. Così, quando ho voluto fare l'Erasmus, mi sono prima informata su quali università in giro per l'Europa offrissero dei corsi a riguardo. La Finlandia offre tanti corsi di studio sul cambiamento climatico e quindi ho scelto di andare lì per il master. Quando ho fatto domanda per il tirocinio alle Nazioni Unite pensavo che sicuramente non mi avrebbero preso e invece, evidentemente per il curriculum di studi e di esperienze che avevo accumula- to, mi hanno scelta. Dopo quasi tre anni di gavetta ho passato i colloqui per diventare funzionario a tut- ti gli effetti. E tutt'ora sono la più piccola nel mio dipartimento.

Tra le sue esperienze c'è anche la collaborazione con ClimaTalk, di cosa si tratta?
ClimaTalk è una piattaforma di giornalismo creata dai giovani per i giovani. L'obiettivo è spiegare i problemi del cambiamento climatico in un linguaggio non troppo scientifico o complicato, così che anche altri giovani possono capire qual è il problema e quali sono le soluzioni. Ho iniziato a far parte di questa realtà mentre facevo la laurea magistrale, ho collaborato con loro per quasi un anno e ho scritto diversi articoli.
E in più ho avuto la possibilità di partecipare alla mia prima Cop, quella di Glasgow in Inghilterra, dove ho seguito in particolare le tematiche che riguardavano proprio i giovani e le popolazioni indigene.

Lei ha fatto volontariato per un'associazione della Tanzania, ce ne parla?
È stata una bella esperienza. Sempre attraverso le Nazioni unite c'è la possibilità di fare del volontariato, sia sul campo, ma anche online. Ho trovato questa opportunità di poter collaborare con questa associazione che si occupa di contrastare l'usanza delle mutilazioni genitali femminili che avviene in alcune zone dell'Africa. Il mio lavoro era quello di utilizzare un software per aggiornare le mappe di alcune zone rurali della Tanzania così da facilita- re il lavoro di chi doveva andare sul posto.

Che cos'è che l’ha spinta a interessarsi dell'ambiente fin da giovane?
I miei genitori mi hanno sempre insegnato a rispettare l'ambiente. Ricordo che da piccolina al mare mi portavano da un'associazione che si occupava di ripulire le spiagge dalla spazzatura. Poi, nel 2015, ero al liceo quando è stato firmato l’accordo di Parigi, uno dei pochi accordi con cui tutti i Paesi del mondo hanno accettato di impegnarsi contro il cambiamento climatico. Mi ricordo che la mia professoressa ce ne aveva parlato e an- che ai tg se ne parlava tantissimo. Ho, quindi, iniziato un po' ad informarmi per capire che cosa vo- lesse dire “cambiamento climatico” e quali problemi comportasse e ho capito di voler fare anche io la mia parte, studiando e specializzandomi in questo argomento.


Dubai sede della COP 28

Di cosa si occupa l'Agenzia ONU per il cambiamento climatico?
Si occupa di tante cose. Io in particolare mi occupo di lavorare con i 45 Paesi più poveri del mondo, che sono situati per la maggior parte in Africa e in Asia. Perché le risposte al cambiamento climatico sono più o meno di due tipi: da una parte c'è la mitigazione e quindi si cerca di risolvere il problema alla fonte, per esempio riducendo le emissioni di anidride carbonica che incidono sul cambiamento climatico; dall'altra si tratta di aiutare i Paesi, soprattutto quelli poveri che non hanno mezzi, a rispondere all'impatto che il cambiamento climatico sta già provocando. Il mio lavoro consiste nell'andare in questi Paesi e aiutarli a scrivere dei progetti che consentano di far fronte ai danni causati dai cambiamenti climatici. Poi questi progetti vengono spediti al Fondo monetario internazionale per il clima, che li valuta e li finanzia. In uno di questi viaggi, per esempio, sono stata alle isole Comore, un arcipelago sopra il Madagascar, molto povero che deve fare i conti con l'innalzamento del livello del mare. Ovviamente questa è la parte più entusiasmante del mio lavoro, poi, stando in ufficio, mi occupo anche di altre cose, come la preparazione per le negoziazioni tra Paesi che sono il fulcro delle Cop.

L'Agenzia per cui lavora riesce a influire sulle scelte dei paesi in materia di buone pratiche per contenere il cambiamento climatico?
Giustamente uno si chiede se tutti questi viaggi e tutte queste conferenze hanno poi un impatto.
La risposta è sì.
Dai primi accordi che si sono raggiunti negli anni Novanta ad oggi le emissioni di CO2 sono diminuite anche se c'è ancora tanto lavo- ro da fare. All'ultima Cop di Dubai abbiamo raggiunto un accordo storico perché finalmente i Paesi si sono messi d'accordo, mettendolo nero su bianco, per l’abbandono graduale dei combustibili fossili che sono la principale causa del cambiamento cli- matico. È un passo importantissimo perché fino all'anno scorso alcune potenze come gli Stati Uniti, la Cina o l'India non erano d'accordo e impedivano di raggiungere un compromesso condiviso.
Un altro grande passo in avanti che si è fatto sempre alla Cop 28 di Dubai è stato la creazione di un fondo per i danni subiti dai Paesi poveri che sof- frono gli impatti di un cambiamento climatico che non hanno contribuito a causare, visto che a provo- carli sono stati nel corso dei decenni i paesi più ric- chi, come l'Europa e gli Stati Uniti. Con la costitu- zione di questo fondo se uno di questi Stati poveri dovesse subire alluvioni o siccità oppure dei disa- stri naturali, potrà chiedere dei soldi per far fronte all'emergenza e per la sua ricostruzione.

Cos'è per lei lo sviluppo sostenibile?
Per me significa vivere in armonia, cercare un equilibrio tra le risorse naturali, l'ambiente e le risorse socioeconomiche. Per vivere, le nostre società consumano risorse che non sono infinite.
Dobbiamo pensare anche alle generazioni future, dobbiamo lasciare un mondo che possa accoglierli e permettergli una vita su questo pianeta con le stesse risorse che abbiamo avuto noi.
E quindi sviluppo sostenibile per me significa ad esempio passare dall'uso dei combustibili fossili alle risorse rinnovabili, ma anche una diversa organizzazione dei trasporti che promuova lo sviluppo delle reti ferroviarie così da incentivare le persone a muoversi, quando è possibile, in treno invece che in macchina o in aereo. Allo stesso modo penso alla ridu- zione della plastica o del consumo di carne oppure, alla scelta di non comprare vestiti fast fashion che pro- vengono da quelle aziende che producono vestiti a ritmi eccessivi in Paesi poveri.
Lo sviluppo sostenibile infatti ha a che fare anche con la tutela delle risorse sociali, con il diritto dei lavoratori, per esempio, ad avere una paga decente.
Insomma, se c'è equilibrio tra la sfera sociale, quella ambientale e quella economica, allora per me c'è sviluppo sostenibile.

Lei ha partecipato a diverse COP, le grandi conferenze internazionali dell'ONU sul cambia- mento climatico. Come funzionano concretamente?
Ho partecipato finora a due conferenze internazionali sul cambiamento climatico e devo dire che è stata una bella esperienza, ma si è anche un po' sopraffatti perché ci sono migliaia di persone che si riuniscono in uno stesso posto per discutere e met- tersi d'accordo su come affrontare il cambiamento climatico.
Vengono affrontati diversi temi, per esempio come ridurre le emissioni di CO2 o come aiutare i Paesi poveri, e per ognuno c'è un tavolo di lavoro attorno al quale i rappresentanti delle varie nazioni si riuniscono per cercare di raggiungere un accordo che poi tutti si impegnano a mettere in pratica.
Tra l'altro questa conferenza è l'unica tra le grandi conferenze internazionali che riesce a riunire effettivamente tutti i Paesi del mondo in un unico luogo.

Il fondo prevede solo aiuti economici o anche iniziative che coinvolgano le popolazioni interessate?
Il fondo principalmente prevede aiuti economici, però ci sarà anche uno stretto contatto con le popolazioni interessate. Saranno loro a dirci quali sono i loro problemi e le loro necessità. Le risorse econo- miche che verranno stanziate dovranno poi raggiungere direttamente le popolazioni interessate. Nella preparazione di questo fondo una cosa importante che è stata decisa è il fatto che alcuni rappresentanti di queste popolazioni vulnerabili possano sedere al tavolo decisionale, in modo che possano spiegare quali sono i metodi più efficienti affinché questi soldi riescano a raggiungerli sul campo.


Chiara Fiorino durante l'intervista

Quali sono gli effetti più evidenti del cambiamento climatico nei Paesi poveri?
In particolare si parla di alluvioni, o, al contrario, di siccità che, poiché questi Paesi poveri dipendono dall'agricoltura, si tra- sforma anche in carestia. Poi ci sono danni anche all'ambiente, come i danni alle zone costiere a causa dell'innalzamento del livello del mare che erode le spiagge o porta l'acqua salata a infiltrarsi nelle zone di acqua dolce. C'è poi lo scioglimento dei ghiacciai.
Ci sono alcuni Paesi poveri nella zona dell'Asia vicino all'Himalaya, soprattutto il Bhutan e il Nepal, dove proprio a causa dello scioglimento dei ghiacciai si verificano inondazioni molto forti che arrivano anche a valle nelle città. Inoltre può esserci anche un aumento delle malattie respiratorie e cardiovascolari, legato all'inquinamento dell'aria o alla presenza di nuovi batteri che vedono crescere il loro habitat preferito.

Come sono stati convinti i Paesi ricchi ad aiu-are quelli più poveri e perché è giusto che avvenga?
È quasi 30 anni che i Paesi più poveri chiedono più risorse economiche e più supporto scientifico. E anch'io mi sono chiesta come mai questa volta il risultato sia stato raggiunto. Forse si è semplicemente riusciti a raggiungere un compromesso tra i diversi interessi in campo, che è poi il modo in cui in queste grandi conferenze si arriva a ottenere dei risultati.
C'è anche da dire che negli anni scorsi questo non era stato possibile soprattutto perché gli Stati Uniti, che sono una grande potenza, con l'amministrazione Trump erano usciti dall'accordo di Parigi, poi il governo è cambiato e con Biden gli Stati Uniti sono rientrati nell'accordo di Parigi e quindi è stato possibile avere anche un dialogo con loro e raggiungere questo compromesso.

Sul cambiamento climatico è ancora possibile tornare indietro?
No nel senso che, anche se noi smettessimo oggi di emettere anidride carbonica in atmosfera, purtroppo tutta la CO2 che abbiamo emesso negli anni e nei decenni precedenti continuerà a trasformare l'atmosfera e quindi il clima. Però se mi si chiede se è ancora possibile fare qualcosa per contrastare il cambiamento climatico, la risposta è sì, assolutamente sì. Forse non abbiamo ancora tanto tempo, però c'è tempo e soprattutto ci sono le soluzioni. Quella che manca è la volontà politica.
Per questo è importantissimo protestare o manifestare, ma soprattutto andare a votare, perché quello che manca ad oggi, soprattutto nei paesi ricchi, è la volontà politica di mettere il cambiamento climatico tra le priorità del governo, di quello che uno stato può fare.

Negli anni ha notato una maggior attenzione verso queste tematiche o prevalgono gli interessi economici e dei singoli stati?
Fino a qualche anno avrei risposto che prevalgono assolutamente gli interessi economici e privati dei singoli stati. Nel momento in cui anche i Paesi più sviluppati hanno iniziato a subire gli effetti del cambiamento climatico, però, c'è stata più consapevolezza. Noto che anche i telegiornali ne parlano molto più spesso e c'è più interesse per questo tema. Qualche anno fa, quando cercavo una laurea magistrale che mi consentisse di approfondire il tema del cambiamento, in Italia non ne avevo trovata nessuna e mi sono trasferita in Olanda. In seguito invece anche in Italia sono nate tante nuove facoltà, tante nuove lauree per specializzarsi nel cambiamento climatico. È una cosa molto positiva perché significa che ci saranno sempre più persone che avranno delle competenze per prendere le decisioni giuste nel futuro prossimo.


Inquadra con il telefonino e guarda il video dell’intervista a Chiara Fiorino
L’intervista si può vedere anche sulla pagina Facebook di WheelDM e sul sito della UILDM di Udine

Cosa pensa delle proteste dei giovani militanti di “Friday for future” e dello scalpore che suscitano per le azioni che prendono di mira le opere d'arte?
Mi ricordo bene che quando Greta Thumberg ha iniziato a protestare ero in Finlandia. Ognuno di noi può avere magari dei pensieri diversi su Greta, ma quello che ha fatto è stato portare l'attenzione sul cambiamento climatico e soprattutto sulla condizione di noi giovani che negli anni futuri dovremo far fronte alle conseguenze di decisioni che vengono prese oggi. Per quanto riguarda le proteste che prendono di mira le opere d'arte, certo fanno scalpore, ma è questo l'effetto che si vuole ottenere: fare notizia e riportare l'attenzione su quello che è il problema ovvero il cambiamento climatico. Inoltre in qualche caso da queste proteste sono nate delle occasioni di confronto con le istituzioni. In generale la protesta è uno degli strumenti che hanno le persone per cercare di richiamare la politica all'attenzione su alcuni problemi.

Quali sono i prossimi obiettivi dell'Agenzia dell'ONU per il cambiamento climatico?
Alla Cop 28 di Dubai abbiamo raggiunto degli accordi storici, i prossimi passi sono innanzitutto mettere in atto questi accordi e poi cercare di raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi: ridurre ancora di più la percentuale di anidride carbonica, fissare un minimo di energia rinnovabile che si deve produrre per ogni stato, facilitare l'acces- so alle risorse economiche destinate ai Paesi più poveri. Oggi è ancora limitato da requisiti e procedure troppo stringenti che allungano i tempi.

E lei che progetti ha?
Continuerò a lavorare in Germania presso l'agenzia ONU per il clima. Mi piacerebbe continuare a viaggiare e a visitare i vari Paesi e vorrei partecipare anche alla Futura Cop 29 che si terrà in Azerbaijan. Tra i miei progetti poi c'è quello di esplorare anche altri problemi sempre legati al cambiamento climatico, oltre a quello degli effetti sui Paesi poveri.
Insomma sono sempre disposta a imparare cose nuove e a lavorare su nuovi progetti.