Buttare via meno cibo è possibile, basta volerlo. Ne è convinto Andrea Segrè, ideatore del Last minute market e dello “Sprecometro”, l'applicazione per il cellulare che ci aiuta a consumare in modo più consapevole
È nato a Trieste nel 1961 e si è laureato in Scienze agrarie all'Università di Bologna, dove, dopo un percorso di formazione internazionale, oggi insegna Economia circolare e Politiche per lo sviluppo sostenibile ed Economia e sviluppo del settore agroa- limentare. Alla fine degli anni Novanta per contrastare lo spreco alimentare ha ideato il progetto “Last minute market,” diventato poi un'impresa sociale, spin off accreditata dell'Università di Bologna.
Ha ideato e promosso la campagna “Spreco Zero” e la Giornata Nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, attivando nel 2013 “Waste Watcher”, il primo Osservatorio nazionale sullo spreco alimentare, di cui è direttore scientifico e che dal 2021 ha assunto un profilo internazionale.
Divulgatore scientifico e autore di numerose pubblicazioni, nel 2024 ha dato alle stampe il saggio “La spesa nel carrello degli altri”, sull'impoverimento alimentare in Italia, e il suo primo romanzo, “Globesity”, che ha per sfondo uno scenario non lontano dalla realtà, in cui metà del mondo lotta contro obesità e sovrappeso, e l’altra metà contro la sottoalimentazione.
La redazione di WheelDM ha incontrato a “Distanza minima” Andrea Segré.
Quanto cibo viene buttato via in tutto il mondo?
Per spreco intendiamo il cibo che gettiamo via ancora buono nelle nostre case, mentre parliamo di perdita per indicare quello che va perso lungo la filiera, dal campo dell'azienda agricola, all'industria di trasformazione, al supermercato o al mercato in piazza.
Sommando entrambe queste categorie, la Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, ha stimato che un terzo di ciò che produciamo non viene consumato. In tonnellate sono 1,3 miliardi, una quantità che non riesco neanche a immaginare.
Tutto questo ha un impatto sull'ambiente e sul cambiamento climatico?
Quando produci un alimento usi la terra, l'acqua, l'energia e poi c'è tutta la filiera per trasformarlo, trasportarlo, impacchettarlo. Consumi energia e produci CO2, anidride carbonica, che è un gas clima alterante, responsabile del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. Il vero dato nascosto è che lo spreco alimentare, comprese le perdite, se fosse un continente, sarebbe al terzo posto dopo gli Stati Uniti e la Cina in termini di produzione di CO2.
Quanto sprechiamo in Italia?
L'ultima rilevazione dell'osservatorio sullo spreco “Waste watcher”, dello scorso settembre, dice che ognuno di noi, in media, ogni settimana butta via circa 680 grammi di cibo ancora buono, con un forte aumento rispetto al dato dell'anno scorso.
Se moltiplichiamo questo dato per tutte le settimane di un anno e per tutti i consumatori, arriviamo alla bella cifra di oltre sette miliardi di euro, un po' meno di mezzo punto di prodotto interno lordo.
È veramente tanto.
Quali sono i Paesi che sprecano di più? Com'è messa l'Italia?
Siamo un po' a metà classifica, i nostri 683 grammi pro capite sono un po' la media europea, nel senso che la Francia, la Germania e l'Olanda sono intorno a questa cifra. Il dato del Giappone, invece, è meno della metà, 360 grammi a testa, quello degli Stati Uniti, 900 grammi, è tre volte quello giapponese. Ci sono tante ra- gioni che spiegano questa differenza di comportamento rispetto al cibo e allo spreco e le informazioni che raccogliamo ci servono anche a capire i comportamenti alimentari in generale.
Andrea Segrè durante una conferenza
Come vengono calcolate le stime sullo spreco?
Abbiamo creato un osservatorio, Waste watcher, una sorta di “sentinella dello spreco” che fa le sue misurazioni attraverso indagini su campioni rappresentativi della popolazione. In Italia facciamo delle interviste abbastanza dettagliate sul comportamento alimentare a un campione di 1.200 persone che vengono selezionate in base a tutta una serie di caratte- ristiche: nord, sud, centro; città grande e piccola; famiglia con tre figli, due figli, un figlio; reddito; e così via.
Incrociando questi profili vengono fuori delle differenze molto forti e a volte anche sorprendenti. Sotto il profilo del reddito, per esempio, è emerso che le persone che hanno un reddito più basso sprecano di più, anche se uno penserebbe che chi ha me- no soldi, acquisterà meno alimenti e li sprecherà di meno. In realtà, incrociando i vari dati raccolti con la nostra metodologia, si è visto che i poveri acquistano cibo di più bassa qualità, più facilmente deperibile, alimenti che saziano, ma che hanno un valore nutrizionale basso, il cosiddetto cibo spazzatura che poi ha anche un impatto negativo sulla salute. Non è un caso che proprio le fasce più povere della popolazione siano quelle più sovrappeso e più obese con tutti gli effetti negativi sulla salute.
Quali sono le cause principali dello spreco alimentare?
Il 70 per cento dello spreco è domestico, finisce nella spazzatura di casa nostra. Le cause principali che abbiamo trovato sono legate alla non programmazione degli acquisti, della spesa settimanale. Una volta, almeno fino agli anni Sessanta del Novecento, si insegnava l'economia domestica e c'era una cura della casa, una programmazione con una lista della spesa e gli alimenti venivano trattati in un certo modo. Da allora lo stile di vita è cambiato. Adesso spesso la lista non si fa, vai al supermercato e prendi quello che vedi in offerta e che pensi ti serva. È una questione legata veramente alla nostra consapevolezza e ai nostri comportamenti. Dalle nostre indagini non viene mai fuori che qualcuno getta via il cibo in modo consapevole.
Sprechiamo senza accorgercene?
Vi porto il mio esempio. Volevamo fare un'applicazione per i cellulari che consentisse alle singole persone di capire quanto impatto genera uno spreco, che potevano fare qualcosa anche come singoli con i loro comportamenti. È nato così lo “Sprecometro” che in pratica utilizza gli stessi metodi di analisi di Waste watcher, ma su una scala più ridotta, e ti dice se sei sopra o sotto la media italiana. Sono stato il primo a utilizzarlo, ho compilato il questionario iniziale e, con sorpresa, ho scoperto che come “sprecone” ero sopra la media. Adesso però non lo sono più, perché l'app, attraverso dei contenuti, mi ha insegnato a essere più consapevole.
Nel suo ultimo libro parla dell'impoverimento alimentare in Italia.
Assieme a una collega udinese che insegna all'università di Trento, Ilaria Pertot, abbiamo fatto un giro attraverso l'Italia guardando i carrelli della spesa degli altri, partendo da quelli più poveri e raccon- tando 13 storie di vita, perché dietro le statistiche ci sono le persone le loro storie, le loro vite, i loro problemi. Purtroppo quello che viene fuori è che, in un paese dove si parla solo di cibo, a mangiar male non sono solo sei milioni di poveri alimentari, ma anche tanti, tanti altri. C'è persino chi spreca apposta, perché lo considera un segno di distinzione. Dovrebbe essere un cam- panello d'allarme anche per le istituzioni. Bisognerebbe pensare all'educazione ali- mentare e a fare un'informazione che faccia capire che il cibo è importante per la salute e per l'am- biente. Il diritto a un'alimentazione adeguata è riconosciuto tra i diritti fondamentali, purtroppo a livello globale ci sono 800 milioni di af- famati e più del doppio in sovrappeso e obesi, che mangiano troppo e male. È l'indice di un grande squilibrio che stiamo vivendo oggi dal punto di vista alimentare nel mondo così come in Italia.
Inquadra con il telefonino e guarda il video dell’intervista ad Andrea Segré
Esistono leggi specifiche contro lo spreco alimentare?
In alcuni Paesi sì. In Italia dal 2016 c'è una legge che contrasta lo spreco nella grande distribuzione incentivando il recupero a fini caritativi di ciò che non si vende. Con il progetto “Last minute market” noi abbiamo iniziato già alla fine degli anni Novanta a recuperare il cibo invenduto nella grande distribuzione per donarlo agli enti caritativi.
È una cosa positiva, ma dobbiamo ricordarci che il grosso dello spreco avviene nelle nostre case e non c'è una legge che ti consenta di recuperarlo, perché nessuno può venire nel mio frigorifero a prendere lo yogurt che lascio scadere.
Quello che noi abbiamo chiesto più volte, senza grande successo, è di fare prevenzione. Bisognerebbe fare educazione alimentare nelle scuole, vorrei insegnare ai bambini e soprattutto ai loro genitori, alle famiglie, agli stessi insegnanti che con piccole cose si può avere una maggiore consapevolezza su questo tema.
Cosa può fare una famiglia per sprecare meno?
Come ho già accennato si può sprecare di meno cercando di fare una spesa oculata, decidendo più o meno un menù della settimana, in modo da prendere gli ingredienti principali che poi si sa che possono essere usati, anziché riempire il carrello di offerte senza avere cognizione di come e quanto si mangerà. La grande distribuzione è strutturata in modo da farci acquistare il più possibile e le merci nei supermercati ci vengono proposte in base a una precisa architettura dello scaffale, a una vera e propria scienza che decide, per esempio, perché la frutta e la verdura stanno all'inizio, perché il sale non lo trovi mai, perché la pasta è a una certa altezza o perché l'acqua minerale è alla fine degli scaffali. E quindi, quando andiamo al supermercato, dobbiamo essere molto decisi. Il mio ragionamento non è contro la grande distribuzione, sono lì per vendere, siamo noi che dobbiamo essere consapevoli e decidere di usare al meglio il nostro portafoglio che non sempre è così pieno.
E se qualcosa avanza comunque?
Ci sono tante strategie che si possono attuare e in gran parte le conosciamo, solo che non siamo attenti ad applicarle.
Pensando alla frutta, in particolare, è chiaro che c'è il rischio che deperisca, ma un attimo prima che succeda puoi fare una macedonia, e se poi non puoi fare una macedonia fai una marmellata o la congeli. Ho imparato tutte le soluzioni possibili e immaginabili un po' perché lo “Sprecometro” mi ha dato una mano, un po' perché non occorre avere degli studi particolari, ma semplicemente un po' di attenzione e magari tornare ai vecchi consigli della nonna.
La mia era originaria di Lussino e un giorno mi ha fatto vedere il decalogo dei lussiniani di fine Ottocento, che conteneva quelli che sembrano dei co- mandamenti. Il primo era “no ste viziare i fioi”, seguito da “devi finire tutto quello che hai nel piatto”, “bisogna spegnere le luci” o “rivoltare i cappotti” e persino le cravatte. Per finire con una cosa mi ha sempre fatto un po' sorridere: “state attenti alle invidie dei parenti”.
Non occorre scoprire l'acqua calda, basta ricordarsi di quegli insegnamenti che abbiamo semplice- mente dimenticato.
Come consumatori, possiamo fare qualcosa per favorire cambiamenti positivi nella filiera produttiva?
A livello della produzione e della distribuzione è più difficile agire, ma forse come consumatori consapevoli possiamo favorire dei cambiamenti positi- vi. “Votare” con il portafoglio. Un mio collega dell'università di Torvergata a Roma, Leonardo Becchetti, ha fatto un esperimento. È andato davanti a un supermercato coi suoi studenti e ha proposto ai clienti che entravano di leggere un documento che classificava le aziende produttrici di alimenti in base all'attenzione al lavoro regolare, all'ambiente e alla sostenibilità. Poi li intervistava una volta che avevano fatto gli acquisti per vedere cosa avevano comperato ed effettivamente si è visto che, una volta informati, avevano acquistato prodotti che risultavano più sostenibili, più solidali, più attenti all'ambiente. È così che si vota con il portafoglio, premiando le aziende che si comportano in un certo modo a scapito di altre. La mia scelta è importante e la posso e- sercitare col mio potere che è quello di acquisto, modificando la domanda posso spingere le aziende a modificare l'offerta.
Andrea Segrè durante l'intervista
L’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile punta a ridurre lo spreco alimentare del 50% per il 2030. È un obiettivo realistico?
Secondo me sì, la riduzione del 50% sullo spreco domestico è assolutamente realizzabile. Il problema dell'Agenda ONU 2030 è che ti dà un obiettivo importante, però poi non ti dice come raggiungerlo e non ti dà strumenti per misurare i progressi. Noi abbiamo provato a riempire questo vuoto con lo “Sprecometro”, che ti dà un metrica precisa, ti fa vedere concretamente i progressi che fai e ti suggerisce come cambiare i comportamenti. Io, che continuo a usarlo, sono entrato a 692 grammi e adesso sono a meno della metà.
Pensa che le nuove tecnologie potranno aiutarci a sprecare meno?
. Un po' sì un po' no. Noi abbiamo fatto un'applicazione come lo “Sprecomeno” e come ricercatori cre- diamo nelle nuove tecnologie. Però, secondo me, più dell'intelligenza artificiale è importante l'intelligenza alimentare, che vuol dire educazione alimen- tare. Poi usiamo tutta l'innovazione tecnologica, compresa l'intelligenza artificiale, ma alla base, anche per usare questi strumenti in modo consapevole, deve esserci l'educazione alimentare. Purtroppo nelle scuole si fanno tanti progetti bellissimi, ma non c'è un programma strutturato, è tutto affidato alla buona volontà dei docenti e delle famiglie. Ed evidentemente non basta, se la considerazione del cibo è quella che abbiamo, se i dati sul sovrappeso e l'obesità infantile sono così elevati, se ci troviamo di fronte a tante patologie legate alla malnutrizione per difetto o per eccesso.
Le tante trasmissioni sulla cucina potrebbero essere un veicolo di informazioni antispreco?
Tempo fa avevo contato una settantina di format televisivi che spadellano in un modo o nell'altro. Se avessi la possibilità, inserirei sempre l'obbligo di fare almeno cinque minuti di educazione alimentare, che in quei programmi non si fa, anche perché si fa spesso competizione, ma la cucina non è competitiva. Anche per questo ho aderito a una campagna che ha fatto un mio amico autore e attore, Alessandro Bergonzoni, che si chiama “Cessate il cuoco”. Eppure ci sono dei cuochi, degli chef, con cui abbiamo collaborato e che sono straordinari, che invece spadellano di meno e fanno cultura alimentare, anche contro lo spreco. Una è Cristina Bowerman che per altro è la testimonial di quest'anno della campagna “Spreco zero”. Poi c'è Filippo Lamantia che, per promuovere la dieta mediterranea tra i giovani che non sanno cos'è o pensano che sia molto cara, ha creato una ricetta con la pasta buonissima, facilissima da fare e che costa poco. Un altro che ci è molto amico è Moreno Cedroni.
Nel suo percorso professionale qual è il risultato che considera più importante, la cosa che le ha dato più soddisfazione?
Mi piace molto il mestiere che faccio e ho avuto anche la fortuna di entrare subito all'università appena finito il dottorato. La soddisfazione più grande è quella di poter insegnare ciò che noi ricerchiamo e proviamo ad applicare ai ragazzi che frequentano l'università. È riuscire a tenerli interessati, a trasmettergli la conoscenza, a discutere con loro. Ogni anno la sfida è più difficile perché io invecchio e loro ringiovaniscono e allora devo adattarmi un po' alle nuove generazioni.