Lasciare un segno nel paesaggio dialogando con chi lo vive: è l'obiettivo dell'arte urbana di Mattia Campo Dall'Orto, street artist e presidente dell'associazione Macross


Brindisi, quartiere Paradiso

 È nato a Trieste nel 1980 e ha iniziato il suo percorso artistico alla fine degli anni Novanta, sperimentando varie forme espressive e ottenendo numerosi riconoscimenti nazionali e non solo.

Ha lavorato in mezzo mondo, dal Friuli al Kenya, dal Messico al Kosovo, dalla Turchia alla Spagna, cambiando il volto di strade e quartieri. Le sue creazioni nascono spesso dall'impegno sociale e sono il frutto di un lavoro collettivo, del coinvolgimento delle comunità locali nella progettazione e nell'ideazione delle opere. 

La redazione di WheelDM ha incontrato a “Distanza minima” Mattia Campo Dall'Orto, uno dei più conosciuti street artist italiani. 

Quando si parla di street art, che cosa si intende?
In generale si intendono dei fenomeni espressivi e creativi che si vedono per strada. In realtà ci sono diversi movimenti, non c'è solo la street art, intesa come una forma espressiva più legata a un linguaggio pop, ma ci sono, ad esempio, il movimento dei graffiti, il cosiddetto writing, dal quale provengo, o altri movimenti come il “nuovo muralismo”. Comunque è un'arte che viene condivisa con i residenti, con la collettività e che si impone nel paesaggio urbano e compete con gli spazi pubblicitari.

Quando ha iniziato a fare street art e perchè?
Ho iniziato a fare graffiti nel 1997 per curiosità, per rabbia, per sfogo, per stare bene con gli amici, per divertirmi, assolutamente per caso. E così, per caso, il dipingere è diventato una passione sempre più importante, irrinunciabile e alla fine anche il mio lavoro. È andata così, senza averlo programmato.

La street art è sempre legale o esiste anche una street art “clandestina”?
La caratteristica dei graffiti e della street art è che condividono gli spazi urbani. E molto spesso i creativi lo fanno in maniera clandestina, illegale. Anzi, in origine questi linguaggi urbani sono nati e sono stati sviluppati in clandestinità e quindi i writer e gli street artist agivano senza un permesso. Questo dimostra la motivazione che c'è dietro: volerlo fare a tutti i costi, a proprio rischio e pericolo, dimostra che può diventare un impulso fortissimo. Storicamente, se identifichiamo le origini di questo fenomeno alla fine degli anni Sessanta, ben presto, già nei primi anni Settanta, comunque, gli artisti avevano l'opportunità di dipingere legalmente, perché c'era qualcuno che riconosceva quello che stavano facendo e commissionava dei lavori o dava degli spazi, quindi l'opportunità di lavorare senza rischi.

Ha avuto qualche maestro, qualche percorso di formazione o è autodidatta?
Non c'è una scuola, intesa come istituto, che insegni a fare graffiti o street art. Sì certo, si fanno dei laboratori e anch'io tengo dei corsi, ma è qualcosa che si impara facendo. Forse questo è anche entusiasmante, perché ci si rincorre, si lavora un sacco per trovare il proprio stile. Però bisogna anche dare il merito a tutte le generazioni che sono venute prima, alle persone che ogni volta per strada incontravo e mi davano qualche consiglio, per farmi crescere, per farmi sperimentare.
Quindi formalmente siamo tutti autodidatti, anche se c'è qualcuno che proviene dall'ambito accademico, nessuno negli istituti d'arte o in accademia ti insegna a fare graffiti a fare street art. E non sto parlando di tecnica, sto parlando di forma mentale. I valori, il codice di comportamento e anche poi il proprio stile li si trova con una profonda ricerca personale, che fortunatamente però è sempre affiancata da coetanei, persone più giovani e persone con maggiore esperienza che ti insegnano continuamente e dai quali puoi trarre ispirazione.
Quindi è un continuo evolversi anche grazie a quello che fanno gli altri. In questo senso ho avuto un infinità di maestri.

Che tecniche usa per le sue opere?
In passato ho sperimentato molte tecniche. Ultimamente, se parliamo di lavori all'aperto, all'esterno su muri, prediligo la tecnica mista, in particolare l'utilizzo degli spray e di pitture acriliche o al quarzo, pitture industriali per esterni, che stendo a rullo o pennello. In alcuni lavori si vede la mia preferenza per un colore molto liquido, che gocciola, quasi fosse un acquerello steso su una superficie verticale. Mi piace perché quando ci si avvicina al muro si vedono tutte queste gocciolature, questi schizzi, questi giochi di trasparenza. È un po' una delle caratteristiche del mio stile. In altri ambiti artistici utilizzo altre tecniche.

Quali sono i soggetti che preferisce disegnare?
Disegno di tutto, dipingo ogni volta una cosa diversa, perché il mio approccio è “community specific” ovvero cerco di realizzare delle opere che si ispirino ogni volta alla comunità che mi ospita, che ospita l'opera.
Poi ci sono dei soggetti ricorrenti, penso ad esempio a delle figure ibride, che solitamente hanno il corpo umano e la testa di animale, a degli elementi grafici ricorrenti, come dei pixel trasversali, dei frammenti che spezzano le figure e che mi consentono di giocare con i colori e anche forzare un po' le tonalità.
Un altro elemento ricorrente sono le lettere, scritte con diversi alfabeti, che mi piace inserire nelle opere.
Ultimamente utilizzo molto i libri, l'oggetto libro come qualcosa che ritorna nelle opere.


Mattia Campo Dall’Orto durante l’intervista

Disegna anche su altre superfici come tela e carta?
La carta e gli acquerelli sono molto utili per creare gli studi preparatori, i bozzetti per le opere. Però devo dire che mi piace anche lavorare su tela o usare altri linguaggi come la stampa, in particolare la stampa tipografica, la calligrafia. Inoltre da tanti anni creo anche grazie alla tecnica del collage che però ho sviluppato in modo decisamente personale, creando dei libri d'artista, dei libri oggetto, dei pezzi unici che si possono sfogliare come un libro, ma di fatto sono composti da tanti disegni, fotografie e collage rilegati sotto forma di libro.
Mi piace cambiare, poi è ovvio che l'aspetto più noto del mio lavoro sia quello negli spazi pubblici, quindi i muri, le grandi facciate dei palazzi, che sono le opere più visibili e forse anche più richieste.

Quando realizza un’opera, ha già definito tutto o ha solo un’idea che sviluppa man mano?
Generalmente ho un progetto quando si tratta di un'opera d'arte pubblica, magari realizzata in collaborazione con tutta una serie di soggetti che sostengono il percorso di realizzazione, quindi un progetto grafico è necessario per far capire ai partner cosa verrà dipinto su una parete.
Poi ho imparato anche che mi piace l'improvvisazione, quindi faccio in modo che durante il processo di realizzazione si possano inserire degli elementi nuovi, che magari non stravolgono l'opera, però formalmente aggiungono dei dettagli, dei livelli di lettura quindi. Viceversa quando invece realizzo opere in cui sono completamente autonomo, non devo rendere conto a nessuno, improvviso. Parto senza avere un bozzetto, inizio direttamente a creare.

Nei luoghi in cui realizza le sue opere, che rapporti si creano con la comunità?
Si instaura una sorta di scambio o almeno questo è quello che cerco di fare. Non voglio essere l'artista che arriva da fuori e ha tutta l'autorità per poter dipingere e quindi non chiede più niente a nessuno. Mi piace entrare con discrezione e umiltà, conoscere prima chi mi ospita e poi eventualmente decidere se dipingere e che cosa dipingere.

Come vive l’idea che le sue opere potrebbero durare poco, essere modificata da altri o dal tempo?
Lo vivo in maniera molto serena proprio perché provengo da quel movimento di graffiti - writing in cui le opere si creano continuamente, vengono distrutte continuamente, spariscono. Certo sono opere di cui tutti possono godere, però sono all'aria aperta. Il sole e la pioggia, le muffe possono intaccare la superficie. Non sono eterne, però chi lo è? Non è un’arte sacra, sono oggetti fatti per le persone e quindi va bene che siano usati, anche se si rovinano, pazienza.

La bomboletta spray è considerata nemica dell’ambiente. Si può fare arte di strada con materiali ecocompatibili?
Premettendo che nessuna delle attività umane, anche quelle artistiche, è a impatto zero, lo spray è uno strumento che da ormai da più di dieci anni cerco di limitare ai pochi effetti che dicevo prima, per il resto uso delle pitture ad acqua. Certo sarebbe necessario che l'industria e la scienza si muovessero per darci gli strumenti con minore impatto ambientale. Sarei ben contento di utilizzarli. Esistono in commercio dei nuovi prodotti promossi come a basso impatto ambientale, ma sono nuovi e bisogna vedere qual è il loro effettivo impatto se vengono usati in maniera artistica, non industriale, e in ambienti esterni, non in laboratori. Sicuramente questo è un punto critico dell'attività artistica mia e dei miei colleghi. Quello che facciamo inquina, per quanto possiamo stare attenti nel non sprecare acqua, non sprecare pittura, dosare bene i materiali, progettare bene l'intervento in modo da usare il meno possibile le auto piattaforme, consumando meno gasolio, l'impatto c'è, non si scappa.

La street art può avere anche una funzione terapeutica, aiutare una persona in difficoltà?
I graffiti, la street art sono delle attività svolte molto spesso da adolescenti. Se pensiamo alle difficoltà che vivono gli adolescenti, questo è uno strumento per esprimersi, quindi sicuramente in questo senso è terapeutico. Se poi pensiamo a situazioni di reale rischio, di disagio, di difficoltà più intensa, la street art può essere uno strumento aggiuntivo.
Ci sono poi i laboratori che fanno parte di una progettazione partecipata. In questo caso non possiamo certo parlare di terapia, però in quartieri che hanno particolari criticità il rapporto che si instaura tra artista e beneficiari, che siano bambini, studenti delle scuole o profughi, come quelli che ho conosciuto in Iraq, può generare benessere, può far star meglio le persone. Quindi io spero che questo genere d'arte aiuti le persone a sentirsi meno sole e più parte di una collettività.

Cosa fa l'associazione per la creatività urbana "Macross"?
L'associazione “Macross” è un'associazione culturale senza scopo di lucro nata nel 2009 con il presupposto di favorire i nuovi linguaggi urbani come la musica, la fotografia, la pittura, la danza, però dare loro dignità, professionalizzare gli artisti, favorire la loro mobilità in ambito europeo.
Inoltre si impegna per creare momenti di aggregazione, soprattutto giovanile, momenti di scambio artistico e culturale, laboratori formativi in cui utilizzare strumenti di educazione non formale per trasmettere ai giovani o ad altre categorie a rischio o meno degli strumenti espressivi.
Infine creiamo dei momenti di lavoro corale in cui ci si ritrova, ci si scambia idee, si conoscono le persone, si sperimentano tecniche, ma soprattutto si parla di tematiche attuali e ci si ascolta.

Un pittore può vendere i suoi quadri. Come fa uno street artist a “commercializzare” una sua opera?
C'è un fiorente mercato della street art, perché molti street artist creano opere non solo su muro ma anche su supporti mobili, come le tele stampe. Se posso fare un po' di polemica, direi che c'è un abuso di questi strumenti.
Perché ci sono persone che non hanno nessuna credibilità, non si sono mai viste per strada, ma che usano l'etichetta di street artist per vendere ai proprietari delle gallerie, chiaramente con la complicità, l'interesse di galleristi, curatori e così via, abusando anche della scarsa conoscenza dei collezionisti acquirenti.

Esiste tra gli “artisti di strada” il concetto di copyright?
Esiste, perché il diritto d'autore è inalienabile e quindi ogni artista è responsabile di quello che fa, è l'autore e detiene i diritti delle sue opere.
Dopo di che è anche vero che tanti street artist hanno il vizietto di prendere a mani basse di qua e di là qualcosa che è un po' più che un'ispirazione.
È bene ribadire che anche se un'opera è realizzata per strada, anche se è realizzata clandestinamente, comunque la legge tutela il diritto d'autore di quell'opera, perché è un'opera d'arte frutto dell'ingegno, della creatività altrui e va rispettata.

Gli “artisti di strada” hanno spazi a sufficienza per esprimersi?
Lo spazio non è mai abbastanza quindi i writer, gli street artist sono costantemente alla ricerca di nuovi spazi. È anche un impegno che ci vede in prima fila come Macross.
Come associazione ultimamente stiamo cercando spazi davvero liberi in cui esprimersi perché gli spazi dipinti vengono fagocitati dalle pubblicità oppure gli spazi dove una volta ci si poteva esprimere liberamente adesso vengono spesso dipinti permanentemente da opere pensate per “riqualificare”.
E invece secondo me è importante è che ogni città riservi ai writer e agli street artist uno spazio in cui nessuno li controlli, in cui possano realizzare delle opere, possono ritrovarsi e sperimentare.
Perché è lì che nascono le opere originali.


Arbat, Kurdistan, campo per profughi siriani

Ha lavorato in molti luoghi. C'è un'esperienza che ricorda in modo particolare?
Ci sarebbero mille storie da raccontare e probabilmente altre mille da non raccontarsi.
Mi ricordo che qualche anno fa dipingevo una grande facciata di un palazzo a Brindisi.
Una domenica mattina uno degli organizzatori è venuto da me e mi ha detto: “Stamattina non si dipinge, fa caldo. Aspettiamo che arrivi l'ombra sul muro e nel frattempo andiamo in spiaggia”.
Ci siamo trovati lì con tutta la sua famiglia. Poi sua madre ha portato la parmigiana di melanzane e quindi ci siamo proprio estasiati tra mare, sole e pietanze tipiche. È uno dei tanti ricordi che porto con me. Sono le cose più belle che ti restano.

Quali sono stati i suoi impegni più recenti e che programmi ha per il futuro?
Uno dei principali impegni di quest'ultimo anno è stato un progetto a Gorizia con un gruppo di ragazzi che hanno seguito una lunga serie di laboratori curati dall'associazione Macross in collaborazione con una rete di partner abbastanza ampia. Si tratta di un progetto ambizioso che mira a istituire una nuova “all of fame” ovvero uno di quegli spazi di libera espressione per chi fa graffiti in città.
Un obiettivo nato proprio da un'esigenza espressa da un gruppo di giovani che avevo incontrato e che avevano manifestato la necessità di avere uno spazio del genere.
Abbiamo cercato di supportarli e mi auguro veramente che nel giro di pochi mesi il progetto si concluda positivamente.
Per il futuro, nell'immediato mi aspettano ancora un bel po' di workshop, sono ripartiti il festival in giro per l'Europa e quindi ci sono un po' di appuntamenti da incastrare in agenda, spero che vada tutto bene e di ripartire al più presto con lo zaino sulle spalle dopo questi due anni un po' complicati per la mobilità.